mercoledì 27 giugno 2012

La resa dei conti


Solo noi, uomini di buona volontà, non compromessi con i “poteri forti”, possiamo essere i nostri cavalieri bianchi, che con umiltà e un forte senso unitario possiamo rinnovare una “Respublica” faro di libertà e indipendenza in un mondo globalizzato che la libertà la sta perdendo piano piano.

San Marino, 27 giugno 2012/1711 d.F.R.

Il tempo della resa dei conti sembra oramai arrivato.
Sia internamente, in quelle che sono state le scaramucce tra le forze politiche e i loro rappresentanti, sia nei rapporti con l’Italia.
Le accuse con annessa prova documentale, mosse dal movimento Per San Marino nei confronti del gotha politico sammarinese che ci ha sino a oggi governato, sono impetuose, travolgenti e hanno dato modo alla cittadinanza di riflettere seriamente su come gli interessi personali possano prevalere su quelli comuni.
Queste rivelazioni, stando a quello che dice il movimento Per San Marino, non sono che l’inizio di una stagione di “corretta” informazione alla popolazione.
Ce ne sarà da discutere parecchio.
In verità quello che s’incomincia a mettere al centro della discussione politica sammarinese è la questione morale, del rinnovamento della classe politica e delle idee su come affrontare il futuro.
Altri movimenti sono nati quali la Rete, il Mics  unitamente a gruppi di persone che si sono costituiti promotori di quesiti referendari quali quello per l’adesione all’Unione Europea e quello dei quindici anni come termine massimo per la permanenza in Consiglio Grande e Generale da parte di un Consigliere.
Anche all’interno degli stessi partiti, regna una grande insofferenza da parte dei giovani verso la vecchia classe dirigente.
Resa dei conti che sta avvenendo in un momento del “tutti contro tutti” e per la quale stanno dando un contributo importante anche le Organizzazioni Sindacali che, con grande senso di responsabilità, stanno fomentando divisioni e uno scontro sociale che la Repubblica non ha conosciuto dal dopoguerra a oggi.
Tutto questo mentre il Paese si avvicina sempre di più all’orlo di un baratro che non lascia presagire nulla di buono.
Sul fronte dei rapporti bilaterali con l’Italia, nonostante la firma dell’agognata Convenzione e degli accordi collegati alla stessa, i segnali di ritorno continuano a essere fortemente negativi.
Sembra che il cerchio si stia chiudendo intorno a tutti quelli che hanno pensato di appoggiarsi al nostro sistema economico finanziario.
Non importa se hanno scudato o meno, non importa se l’hanno fatto in maniera trasparente o meno ufficiale.
Rimane il fatto che ogni tipo di operazione effettuata da o verso San Marino è dall’Italia monitorata verificata ed eventualmente sanzionata.
E purtroppo ogni giorno ne è tirata fuori una dalla nostra controparte, come a volerci ricordare che non è cambiato nulla se non siamo noi stessi i primi a cambiare.
In questa situazione non esistono cavalieri bianchi, pronti a salvarci.
Non esistono uomini miracolosi che possano dall’oggi al domani rimediare a questa situazione oramai divenuta insostenibile.
Solo noi, uomini di buona volontà, non compromessi con i “poteri forti”, possiamo essere i nostri cavalieri bianchi, che con umiltà e un forte senso unitario possiamo rinnovare una “Respublica” faro di libertà e indipendenza in un mondo globalizzato che la libertà la sta perdendo piano piano.

Alberto Rino Chezzi


Nel riquadro: “Natura Morta” – 1998 – Ciaccaezetazetai – cera su carta – cm 70 x 55 – courtesy EC Foundation


lunedì 18 giugno 2012

Grazie mille!

Forse la proposta migliore è quella di un ringraziamento pubblico e collettivo a questa classe politica, per averci fatto star bene soprattutto dal punto di vista economico.
Ora, è però arrivato il momento di cambiare.

San Marino, 18 giugno 2012/1711 d.F.R.

E’ orami evidente a tutti i cittadini sammarinesi che la politica fa di tutto pur di non rinnovarsi. Continua imperterrita nel teatrino che tanta prosperità fino ad oggi le ha portato.
Magari a spese della democrazia in primis e della cittadinanza poi.
Poiché il rinnovamento del Paese, anche e soprattutto nei valori e nelle coscienze, deve necessariamente ripartire dalla politica.
Se questa è la prima a non volersi rinnovare, come si potranno gettare le basi per un futuro diverso?
Arrivare a una richiesta di referendum, quello della limitazione a quindici anni del consiglierato, tanto per intenderci, la dice lunga sulle reali volontà dei partiti e dei sessanta consiglieri che ora siedono in Consiglio Grande e Generale.
E’ un po’ come la storiella che domanda: quante gambe ha una mucca? Quattro è normalmente la risposta. E se ne alza una? Tre è normalmente la risposta. La mucca ne ha sempre quattro indipendentemente dal fatto che ne alzi o no una.
Ecco con la politica ci ritroviamo nella stessa situazione.
Ogni tanto alzano una gamba ma le logiche sottostanti alle azioni, anche politiche, sono sempre le stesse.
Immutabili nel tempo.
Forse l’accostamento all’alzata di gamba può sembrare ingiusto, forse non è solo la politica ad alzare la gamba ma l’intero Paese.
Purtroppo per noi è però dalla politica che dobbiamo ripartire, perché in democrazia questa è imprescindibile.
Che per cambiare sia veramente necessario riconvocare l’Arengo?
Eppure sarebbe tutto così semplice per rinnovare la politica.
Sarebbe più che sufficiente un codice di autoregolamentazione in chiave etica adottato all’interno dello stesso partito così come fanno, senza scandalo di nessuno, nei grandi paesi dell’Europa, nella quale molti di noi bramano entrare con grande impazienza.
Sarebbe più che sufficiente che uno sparuto ma ben determinato gruppo di Consiglieri, proponesse un’iniziativa legislativa in tal senso, magari facendo proprio il quesito referendario.
Potrebbero avvenire delle piacevoli sorprese in sede di votazione, così come già successo nel limitare temporalmente l’attività dei Segretari di Stato a dieci anni.
Forse la proposta migliore è quella di un ringraziamento pubblico e collettivo a questa classe politica, per averci fatto star bene soprattutto dal punto di vista economico.
Ora, è però arrivato il momento di cambiare.
Se non l’hanno ancora, capito forse qualcuno glielo deve spiegare.

Alberto Rino Chezzi

http://www.smdazibao.blogspot.com/

Nel riquadro: "Psychologist" - 1999 - Ciaccaezetazetai - olio su tela - cm 150 x 100 - courtesy EC foundation

domenica 10 giugno 2012

Bankor: one nation, one bank


Quello che mi permetto di aggiungere al pensiero dell’amico Bankor è che un'unica Banca di Stato potrebbe essere partecipata anche dai singoli cittadini, divenendo così un esempio di grande democrazia economico finanziaria



San Marino 11 giugno 2012/1711 d.F.R.

Un’unica banca di Stato.
Un’idea affascinante, quella proposta da Bankor, e che inizialmente mi aveva lasciato sconcertato ma che sedimentatasi pian piano mi ha quasi convinto.
I presupposti del ragionamento da cui parte Bankor sono essenzialmente tre.
Il primo è che lo Stato deve intervenire sempre più di frequente per salvare questa o quella banca, direttamente con apporti di capitale o indirettamente con agevolazioni fiscali o come garante di Banca Centrale prestatore di ultima istanza.
Il secondo è che non abbiamo le competenze tecniche per gestire una qualche realtà che superi la filiale di una qualsiasi banca italiana di Rimini centro. Inoltre il nostro sistema bancario e finanziario è cresciuto all’ombra degli interessi dei soliti noti ed è ricolmo di parti tra loro correlate e in pieno conflitto d’interessi. Non è possibile ripulirli, fintanto che gli istituti rimangono nelle stesse mani private che li hanno sempre posseduti.
Il terzo e ultimo presupposto è che la nostra immagine in ambito finanziario internazionale è orami talmente compromessa che possiamo tranquillamente smettere di pensare a una piazza finanziaria per i prossimi vent’anni.
Quali vantaggi potrebbe portare un’unica Banca di Stato.
Anche in questo caso i vantaggi potrebbero essere sostanzialmente tre.
Il primo è che una Banca di Stato potrebbe dare tutta una serie di garanzie, soprattutto alle istituzioni estere, anche in materia trasparenza, di lotta al riciclaggio e di lotta alle organizzazioni malavitose che hanno piantato le loro radici nel nostro piccolo e a questo punto indifeso Paese. Potrebbe essere un’operazione di recupero d’immagine così come fatta all’epoca con il Consorzio dei vini, con un marchio registrato e tutelato dal nostro Stato. L’attività di vigilanza sarebbe fatta direttamente dalla stessa su tutte le operazioni e transazioni effettuate in territorio sammarinese.
Il secondo è che una Banca di Stato potrebbe meglio gestire le risorse sia in termini di liquidità a favore del sistema e garantire maggiormente i risparmiatori, soprattutto quelli sammarinesi che hanno avuto il coraggio di lasciare i lori risparmi all’interno del nostro territorio.
Il terzo infine è che una Banca di Stato potrebbe avvalersi di alte competenze anche esterne, che esulino da una mera e semplice spartizione di cariche e di lobby di potere, dando anche una serie di opportunità finanziarie legate al nostro territorio agli investitori esteri che in questo momento non hanno.
Quello che mi permetto di aggiungere al pensiero dell’amico Bankor è che un'unica Banca di Stato potrebbe essere partecipata anche dai singoli cittadini, divenendo così un esempio di grande democrazia economico finanziaria .
La stessa banca potrebbe anche emettere per conto dello Stato una moneta sammarinese, creando così la base monetaria indispensabile per compiere tutti gli investimenti in infrastrutture per far uscire il Paese dalla crisi e divenire così potente motore di sviluppo per tutta la realtà economica del Paese.
Utopia?
Non proprio, tenuto conto anche delle ultime teorie in materia monetaria, oramai accreditate anche a livello internazionale quali ad esempio quella della Teoria Monetaria Moderna dell’economista Warren Mosler.
Probabilmente vale la pena di rifletterci sopra.

Alberto Rino Chezzi


Nel riquadro: “IL SE’ MIGLIORE” – 2004 – Ciaccaezetazetai – olio su tela – cm 300 x 250 – courtesy of Ec Foundation

lunedì 4 giugno 2012

Tutto ok, tutto a posto


Il Paese in grande difficoltà non ha molto di che gioire dalla firma dell’accordo con l’Italia, se non per il fatto che ha ora la possibilità di riformarsi nel profondo per affrontare con dignità e coraggio il futuro.



San Marino 4 giugno 2012/1711 d.F.R.

La prossima settimana, mercoledì 13 giugno del 1711 dalla fondazione della Repubblica, si firmerà con l’Italia il tanto agognato accordo contro le doppie imposizioni.
Questa volta è vero, l’annuncio è arrivato direttamente dall’ambasciatore italiano in San Marino Giorgio Marini.
Sembra che entro fine anno questo ci permetta di uscire dalla black list.
Rimangono comunque ancora aperte le problematiche sull’esterovestizione e sulla stabile organizzazione.
In molti cominciano già a tirare un grande sospiro di sollievo, soprattutto nel mondo politico e già si preparano per una campagna elettorale che sembra avvicinarsi sempre di più.
Vi sono tutti i presupposti, da parte delle figure “importanti” del Paese, per riprendere nelle mani, direttamente o indirettamente da posizioni di potere, la vita economica e sociale della nostra piccola Repubblica.
Si potrebbe dire che finalmente è tutto ok, tutto è a posto.
Possiamo riprendere a sperare in un futuro prospero e radioso.
Peccato però che il Paese sia in uno stato comatoso e sia da riformare nel profondo.
Le nostre ambizioni da “superpotenza” sono state azzerate con una forte limitazione della sovranità senza precedenti nella nostra storia.
Se vogliamo sopravvivere, ci hanno fatto capire, ci dobbiamo adeguare ai dettami e voleri del nostro grande e potente vicino.
Il sistema politico dei partiti, che non è in grado di garantire un rinnovamento d’idee e di persone, soffre d’importanti deficit di democrazia.
Il sistema economico e finanziario è ridotto ai minimi termini ed è completamente da ripensare, anche in funzione agli impegni che scaturiranno dagli accordi con l’Italia.
Il livello di disoccupazione è altissimo, i nostri giovani devono seriamente pensare a cercarsi nuove opportunità fuori dai confini.
La Pubblica Amministrazione e il pubblico allargato hanno raggiunto dimensioni elefantiache con inefficienze e sprechi direttamente proporzionali alle proprie dimensioni.
Il comparto imprenditoriale è stato a sua volta decimato e non riesce più a ritrovare le condizioni operative vantaggiose che aveva solo poco tempo fa.
Non raggiungiamo l’autosufficienza in nessun settore, sia che parliamo di utility che di risorse umane.
Il Paese in grande difficoltà non ha molto di che gioire dalla firma dell’accordo con l’Italia, se non per il fatto che ha ora la possibilità di riformarsi nel profondo per affrontare con dignità e coraggio il futuro.

Alberto Rino Chezzi


Nel riquadro: "Vistagiardino" - 1998 - Ciaccaezetazetai - olio su tela - cm 60 x 50 - courtesy EC foundation