Anni questi, segnati da un notevole ridimensionamento del nostro sistema, imposto da forze esterne alla nostra realtà.
Sono state intaccate e stravolte tutte le certezze del Paese con conseguenze importanti per i capisaldi del sistema.
Molte conquiste sociali sono oggi messe a serio repentaglio.
Il sistema economico è a dir poco asfittico.
Nessuno è disposto a far sacrifici o passi indietro.
L’altra metà del Paese, il pubblico impiego, sembra vivere in un altro mondo, quello dei diritti acquisiti ed intoccabili.
Corriamo il rischio di chiuderci a riccio all’interno di una realtà che in definitiva non ha risorse economiche, finanziarie, umane e territoriali.
L’unica che dovremmo avere e che perlomeno hanno sempre avuto i nostri avi è il buon senso.
Il sistema ha comunque fatto notevoli passi in avanti dando risposte e introducendo normative che gli organismi internazionali hanno riconosciuto come risposte serie ai cambiamenti richiesti.
Il cammino intrapreso è però particolarmente duro e per far continuare a percorrerlo c’è la necessità di stare uniti.
Siamo noi ora che dobbiamo cambiare internamente, nelle coscienze, negli obiettivi, rimodellando il sistema che è poi la nostra casa.
Rimodellarlo e non riposizionarlo, il che non è esattamente la stessa cosa.
La grande scommessa che il Paese deve oggi affrontare è un cambiamento radicale al proprio interno, nel sistema economico e finanziario, ma anche nelle coscienze, nel rapporto tra politica e società civile.
Dopo il “ventennio”, periodo questo dove chi ha governato ha curato più gli interessi di parte e non ha ascoltato nessuno, tantomeno le istanze provenienti dal “basso” è ora vitale cambiare.
Ascoltare il “basso” ma senza ricercare il consenso politico a tutti i costi.
Le così dette riforme della pubblica amministrazione, fiscale e previdenziale sono un riposizionamento e non un rimodellamento.
Lo stesso vale per il sistema bancario e finanziario che se vuole internazionalizzarsi non può chiudersi in se stesso riducendosi a due o tre istituti bancari, senza invece aprirsi agli operatori esteri che volessero investire nel nostro sistema.
Aprirsi a operatori di livello e con know how e non a banche che a malapena hanno le dimensioni delle nostre piccole, quelle che vorremmo fossero “cannibalizzate”.
Quello che serve in questo momento non è la prudenza o la ricerca del consenso ma un grande coraggio.
Il coraggio del cambiamento.
P.S. Grande coraggio anche nello scegliere di limitare temporalmente il “Consilierato” e gli incarichi pubblici per una nuova etica della politica.
Alberto Rino Chezzi
www.smdazibao.blogspo.com
Nel riquadro: “PSYCHOLOGIST” – 1999 – Ciaccaezetazetai – olio su tela – cm 100 x 150 – courtesy of Ec Foundation
Lunedì 13 giugno 2011.
RispondiEliminaLa frase che mi ha maggiormante colpito nella lettura del tuo articolo settimanale è la seguente: " ascoltare il "basso" ma senza ricercare il consenso politico a tutti costi ".
FINALMENTE!
I Politici ( politicanti ) come i Sindacati e tutte le pseudo Organizzazioni che vivono in modo "parassitario" sono da emarginare se non escludere: come già avevo detto è più che sufficiente un SOLO esponente per ogni corrente ( e sono - nel loro ininsieme - già molti da mantenere ! ).
In quanto al buon senso dovremmo veramente ripensare o ricordare i proverbi dei nostri avi ( la cultura contadina ) che sono tornati di grande attualità.
Il cammino del " RIMODELLAMENTO " come hai ben definito, sarà lungo, faticoso e richiederà coraggio, solidarietà unione di forze e intenti: tutti imsime " senza discriminazioni".
La Storia in questo è maestra!